Musei in 5 opere:
Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona
by Cristian Camanzi
by Cristian Camanzi
Nuovo appuntamento per la rubrica con la quale vi portiamo alla scoperta dei musei nel mondo. Un po’ quello che vi aspetta scaricando la nostra app QuickMuseum, che trovate disponibile gratis sia per dispositivi Apple che per Android. Grazie alle sue mappe, alle audioguide, ai giochi e ai percorsi personalizzati potrete esplorare le splendide collezioni dei più importanti musei d’Europa, ma non solo. Abbiamo aggiunto anche alcune realtà museali più piccole, ma che riguardano la nostra regione, l’Emilia Romagna.
Oggi andiamo in Portogallo, a Lisbona, più precisamente al Museo Calouste Gulbenkian. Il Museo Calouste Gulbenkian a Lisbona raccoglie al suo interno una collezione abbastanza limitata, ma di elevata qualità, di arti maggiori e minori. Riflette il gusto del suo fondatore, il magnate del petrolio Calouste Gulbenkian. Quantitativamente è dominante l’arte francese, sia in pittura che in scultura, ma vi sono anche opere scelte, come quelle di Cranach, Francesco Guardi e Rembrandt.
Ecco 5 cose da non perdere, se visitate il Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona:
Edgar Degas è stato uno dei nomi più noti della pittura francese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Con forti legami con il movimento impressionista, nonostante abbia rifiutato qualsiasi associazione con esso. Nato a Parigi, Degas ha iniziato a dipingere giovanissimo. Nonostante suo padre avesse idee piuttosto diverse per la sua carriera, l’artista lasciò la sua laurea in giurisprudenza e dedicò la sua vita all’arte. Ha viaggiato in Italia e ha copiato le opere dei grandi maestri del Rinascimento. Era meglio conosciuto per i suoi dipinti, sebbene lavorasse anche con la scultura e si interessasse alla fotografia. Questo autoritratto incompiuto mostra un uomo non ancora trentenne, un uomo elegante della classe media, con guanti e cilindro, che affronta qualsiasi cosa il futuro possa riservare con calma e sicurezza di sé.
L’arte di Guardi è in grado di catturare momenti specifici della vita veneziana. Questa strana veduta mostra i padiglioni che furono eretti per la famosa Festa dell’Ascensione, una delle feste più importanti di Venezia, culminata nella celebrazione del matrimonio simbolico tra la Repubblica e il mare. Evento accompagnato anche da una regata, oltre che da una “fiera”, in Piazza San Marco, che poteva durare quindici giorni. In questo dipinto la Piazza è rappresentata da ovest secondo uno schema tradizionale. Il Campanile di San Marco si staglia alto contro il cielo limpido e brillante.
L’idea per una statua di Diana in partenza per la caccia fu concepita nel 1776. L’originale in marmo destinato ai giardini del Duca di Sassonia-Gotha fu tramandato a Caterina II; dall’Hermitage passò alla collezione Gulbenkian di Lisbona. Questa statua testimonia la concezione francese del nudo liscio ed elegante, che deriva dalla scuola di Fontainebleau.
Dietro l’irriverente allegria del soggetto, questo ritratto nasconde la tragedia del suo destino. Alexandre, che lavava i pennelli di Manet e ogni tanto posava per lui, finì per suicidarsi all’età di quindici anni nello studio dell’artista in rue Lavoisier. Quest’opera, che si ispira a Caravaggio e alla pittura di genere olandese del XVII secolo, rientra nella tradizione realista, con il parapetto in pietra che stabilisce la definizione spaziale della composizione. All’evidente ritratto Manet associa un altro genere, la natura morta: le ciliegie rappresentano un’allegoria dei sensi. Inoltre, c’è un’idea di modernità nella rappresentazione della vita quotidiana come soggetto per il dipinto, un concetto che afferma la realtà contemporanea.
Quest’opera fu realizzata nel 1872, lo stesso anno in cui l’artista dipinse la famosa Impressione al levar del sole. Una sequenza ordinata di forme sferiche struttura magnificamente la rappresentazione – i frutti della stagione estiva stabiliscono un dialogo cromatico con gli oggetti di porcellana cinese disposti con cura nello spazio – e fa percepire l’insieme come un coerente confronto visivo. L’estetica en-plein-air tanto cara agli impressionisti inonda di luce l’intera superficie della tela. È attraverso il colore, tuttavia, che Monet esprime al meglio una scena che è destinata a essere percepita dai sensi.